1930 RISOTTO ROMAGNOLO DI GIOVANNI PASCOLI

o “Risotto romagnolesco che mi fa Mariù”

Mi sono resa conto solo dopo averlo finito tutto, il confortevolissimo (da comfort food) e abbondante manicaretto, che sarebbe stato meglio impiattare il “Risotto romagnolo di Giovanni Pascoli” in maniera più rustica, più genuina, meno…artefatta. Senza il coppapasta, per intenderci. Perdonatemi!, l’ho comprato da poco tempo e sento una pulsione che arriva da dentro, un’urgenza che mi spinge a usarlo in ogni dove.

Certo, l’imporante è dire subito che il risotto era decisamente buono. Anzi, buonissimo. Avvolgente, casalingo, protettivo, ricco, nutriente,…da fanciullini..

La bontà di questa ricetta firmata dal grande poeta fa cadere nell’oblio il ricordo – gravoso- di certe lezioni dedicate alla sua poesia, ai tempi delle scuole dell’obbligo. Ora mi è già più simpatico, meno ostico. La fotografia che vedete sotto ritrae Giovanni Pascoli con le sorelle. Quella di destra è Maria, per gli amici Mariù, la Mariù che trovate citata nella ricetta (…ecco il risotto romagnolesco che mi fa Mariù.). Maria rimase al fianco del fratello fino alla sua morte e per lui si affacendava ai fornelli.

Questa ricetta la troviamo in diversi numeri di LCI dei primi dieci anni, ma la prima volta fu nel numero di giugno del 1930. In quell’anno, in prima pagina si trovavano ogni mese le “ricette in forma di poesia”, firmate da illustri poeti di quel periodo appositamente per il giornale.

Non è il caso di questo Risotto romagnuolo o romagnolo, che fu scritto dal Pascoli nel 1905 in risposta ad una lettera del suo amico Augusto Guido Bianchi (cronista milanese del Corriere della sera con il quale il Pascoli ebbe un lungo carteggio), il quale gli suggeriva (usando abbondantemente il futuro: «tu farai, tu vorrai, tu saprai ” …) la ricetta del delizioso Risotto alla milanese. Una giocosa sfida tra risotti, che evidenzia la passione di Pascoli per il buon cibo. Un buongustaio verace, amante dei piatti della sua terra, come si deduce anche da quest’ode: La piada

Ma torniamo al Risotto Romagnolo, ecco il testo:

Amico, ho letto il tuo risotto in …ai! 
E’ buono assai, soltanto un po’ futuro, 
con quei tuoi “tu farai, vorrai, saprai”!
Questo, del mio paese, è più sicuro 
perché presente. Ella ha tritato un poco 
di cipolline in un tegame puro.
V’ha messo il burro del color di croco 
e zafferano (è di Milano!): a lungo 
quindi ha lasciato il suo cibrèo sul fuoco.
Tu mi dirai:”Burro e cipolle?”. Aggiungo 
che v’era ancora qualche fegatino
di pollo, qualche buzzo, qualche fungo.
Che buon odor veniva dal camino! 
Io già sentiva un poco di ristoro, 
dopo il mio greco, dopo il mio latino!
Poi v’ha spremuto qualche pomodoro; 
ha lasciato covare chiotto chiotto 
in fin c’ha preso un chiaro color d’oro.
Soltanto allora ella v’ha dentro cotto 
Il riso crudo, come dici tu. 
Già suona mezzogiorno…ecco il risotto 
romagnolesco che mi fa Mariù.

Vi dico come ho interpretato ai fornelli la pascoliana ricetta, partendo dal fatto che il dosaggio degli ingredienti è “a occhio”:

Ho fatto soffriggere un po’ di  cipolla con il burro, poi ho aggiunto i fegatini di pollo, lo zafferano (il croco è il fiore da cui si ottiene lo zafferano), qualche fungo (toh, avevo giusto giusto dei pioppini freschi) e, dopo qualche minuto, la passata di pomodoro e la giusta presa di sale. Ho lasciato che cuocesse tutto per benino. L’istinto massaico mi ha spinto, ad un certo punto, a tuffarci dentro il riso, che ho diligentemente portato a cottura, aggiungendo del brodo caldo all’occorrenza. Tutto qui. Veloce e gustoso. Fattibile. Buono.

 

Vi voglio far vedere anche questa pubblicità, tratta dallo stesso numero di giugno 1930

 

 

Praticamente un precursore dei quattrosaltinpadella! Chissà com’era. Come mi piacerebbe assaggiarli! Magari a qualcuna di voi è rimasta una scatola tramandata per errore o dimenticata in qualche anfratto della cantina della nonna. Chissà, il mondo è bello perchè è vario..

e, dopotutto, anche se son passati più di ottant’anni, si mantiene indefinitamente…


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