1938 CONSIGLI A ROSETTA PER UNA MASSAIA INESPERTA
“…Dopo aver tenuto una mezzora la biancheria in molle, si insapona ben bene, si stropiccia sommariamente, quindi si mette, senza strizzarla troppo, in una conca o in un altro recipiente adatto. L’indomani il sudicio (sfregature comprese), ammorbidito dal sapone, casca alla prima stropicciata senza che ci sia bisogno di aggiungere all’acqua sodina o lisciva gialla. E con un minimo di fatica la massaia ha il vantaggio di mettere nella varecchina la biancheria quasi pulita. Ho detto nella varecchina, certa come sono, che siano ben poche le massaie che persistono nell’abitudine di fare il bucato con la cenere. Con buona pace delle Cassandre, ostinate nel predire le più disastrose conseguenze dall’uso della varecchina..”
Questo è un estratto del suggestivo articolo del Marzo 1938 tratto dalla rubrica “Consigli a Rosetta” de “La Cucina Italiana , in cui si descrive minuziosamente come a quel tempo doveva essere fatto un bucato per essere certe del risultato sperato.
Non so se in una mia vita passata sono stata una Cassandra, ma certamente oggi che sono anche una massaia moderna e vivo un tempo successivo a quello dell’articolo, posso affermare che l’effetto disastroso dell’uso indiscriminato e della composizione chimica di detersivi da bucato (e non solo), smacchiatori, ammorbidenti c’è stato ed è ancora in atto.
Esiste ancora il doveroso onere di fare il bucato, ma in quello del nostro tempo il problema da risolvere non è come liberarsi dalle macchie, bensì come evitare pruriti, dermatiti, irritazioni alle vie respiratorie e allergie e come proteggere i fiumi, i laghi e i mari dalla presenza di schiume che galleggiano sulla superficie dell’acqua aumentando di volume sempre più come fossero panna montata.
La protagonista indiscussa dell’articolo è la candeggina, chimicamente denominata ipoclorito di sodio, la quale presenta differenti nomi tra i quali: acqua da bucato, varechina (che pare derivi da una parola del francese antico “varek” dal nome delle alghe raccolte sulle coste della Normandia, le cui ceneri si utilizzavano perché contenevano sostanze sbiancanti), e acqua di Javel, nome dato alla soluzione dal chimico francese Berthollet, che di fatto le ha dato i natali Intorno al 1785.
Pare infatti che Berthollet, ispirandosi al lavoro delle lavandaie sulle rive della Senna, volle simulare l’ossigenazione naturale dei panni al sole concependo così agenti di candeggiamento liquidi basati sull’ipoclorito di sodio, ancora oggi conosciuto in Francia come ‘Eau de Javel’. Alla fine del XIX secolo a Parigi ha inizio la produzione industriale di candeggina con una società che chiamarono “Javel La Croix“.
In Italia tal Dott. Ramarino brevettò un sistema di produzione dell’ipoclorito di sodio, partendo dall’ipoclorito di calcio e dal carbonato sodico. Tale prodotto venne chiamato Varechina. Nacque in Italia il “Consorzio della Varechina” che fu creato con la collaborazione tra Aziende della Toscana, del Lazio e della Sardegna.
Quindi in Francia vi era già a fine’ 800 la pratica dell’uso di sostanze con capacità sbiancanti per i tessuti e pare che l’uso dei disinfettanti e sbiancanti per uso casalingo abbia avuto origine proprio qui agli inizi del ‘900 e che tali sostanze si siano rivelate preziose durante la Prima Guerra Mondiale per le proprietà disinfettanti, tanto da essere utilizzata sia durante gli interventi chirurgici da campo per disinfettare gli attrezzi che durante le epidemie. Un utilizzo totalmente alternativo della candeggina nei nostri giorni viene invece da una donna: Amy Smith, ingegnere del Massachussets Institute of Technology, la quale si è resa famosa per aver inventato la “Solar Bottle Bulb“, un sistema tanto semplice quanto geniale di acqua e candeggina in una bottiglia in plastica come sistema economico e alternativo di portare la luce dove l’energia da fonti non rinnovabili non è a disposizione delle utenze.
Foto- Esempio di utilizzo della candeggina differente dal candeggio nel passato e ai nostri giorni
Infatti la candeggina viene molto spesso ed erroneamente considerata un detergente, ma la sua azione e quella di eliminare batteri, muffe e altri agenti patogeni molto resistenti, è insomma un biocida. L’altra idea errata che molti hanno è quello di pensare e dire che la candeggina elimini le macchie, in realtà, non essendo un detergente, la candeggina non ha la capacità chimica di “eliminare” le macchie, quello che fa è decolorarle, insomma l’occhio non vede più la macchia ma la sostanza, ora decolorata, con solo l’uso della candeggina è ancora li tra la trama e l’ordito.
A dirla tutta la candeggina non è la sostanza più insidiosa e pericolosa che custodiamo negli armadietti dei detersivi per la cura e la pulizia della casa, se usata oculatamente e con opportuno dosaggio, essa si rivela un prezioso aiuto. Meglio però non eccedere nell’utilizzo e magari sostituire la classica candeggina, ovvero ipoclorito di sodio, con quella che viene denominata candeggina delicata che è invece una miscela di tensioattivi non ionici e sbiancanti a base di ossigeno.
E’ necessario sapere però che essendo una sostanza con potere ossidante è estremamente reattiva, quindi è sconsigliato pasticciare mescolandola con altre sostanze e detergenti, specie se questi altri si chiamano ammoniaca e acido muriatico, poiché da questo sconsigliabile pout-pourri si sprigionerebbe cloro gassoso molto irritante per le vie respiratorie, anzi, già diluire la candeggina in acqua bollente potrebbe liberare il cloro in essa contenuta.
Imparare a dosare le sostanze e i detergenti è altrettanto importante quanto sapere cosa sono e contengono. Dobbiamo abituarci a pensare che quello che esce dagli scarichi delle nostre abitazioni ha come recettore ultimo: laghi, fiumi e mari e tutto quello che vi riversiamo nel migliore dei casi subisce prima un trattamento delle acque reflue, nel peggiore dei casi finisce tal quale nel recettore finale naturale. L’uso eccessivo di sostanze con azione battericida va a compromettere la vita anche di quei batteri che noi utiliziamo nel trattamento biologico delle acque reflue, abbassandone di molto l’efficienza.
Dosare opportunamente permette quindi di non sprecare più prodotto del dovuto, non disperdere la sostanza nell’ambiente e risparmiare. Disinfettare le superfici della casa non deve essere un gesto convulsivo, questo perché è inutile e dannoso, il nostro sistema immunitario ha bisogno di incontrare agenti esterni per fortificarsi, vivere sotto una “campana di vetro” ci rende vulnerabili.
Se una volta fare il bucato richiedeva tempo e pazienza e la speranza di un buon risultato, ora quello che è richiesto ad una massaia moderna è l’indottrinarsi per saper leggere l’elenco dei composti nelle etichette dei detergenti e i simboli di rischio chimico relativi, per diventare consapevoli e tutelare la propria salute e quella della prole e del futuro in un mondo pulito si, ma da agenti chimici non desiderati.
Se poi voleste un ritrovato casalingo altrettanto efficace e sicuramente totalmente ecologico, potreste cimentarvi con acqua ossigenata, ovvero perossido di idrogeno, a 130 volumi (36%) che badate bene non è quella usata per disinfettare la cute che ha una concentrazione di 10 volumi, e preparare da voi la candeggina delicata fatta in casa.
Avrete bisogno di:
-400 grammi di acqua distillata;
-100 grammi di acqua ossigenata 130 volumi (36%);
-1 cucchiaino di acido citrico;
-1 contenitore in plastica non trasparente per conservare il preparato;
-1 contenitore di opportune dimensioni in vetro o plastica per pesare l’acqua e mescolare la soluzione;
-1 contenitore in vetro o plastica dotato di beccuccio in cui pesare l’acqua ossigenata;
-guanti in gomma (quelli per lavare i piatti vanno bene);
-imbuto in plastica;
-mestolo in legno o plastica per mescolare.
Iniziare indossando i guanti, l’acqua ossigenata a 130 volumi è molto concentrata ed è caustica sulla pelle, procedete quindi a pesare l’acqua distillata nel primo contenitore più capiente e di seguito pesate l’acqua ossigenata nel contenitore con il beccuccio.Versate l’acqua ossigenata nel contenitore di acqua distillata lentamente e mescolando altrettanto lentamente.
Mescolate bene ancora ed aggiungete un cucchiaino di acido citrico, che ha lo scopo di stabilizzare la soluzione.Al termine dell’operazione trasferite il composto servendovi dell’imbuto in un contenitore di plastica pulito e scuro, questo perché l’acqua ossigenata non ama la luce, ma questo vale anche per la candeggina classica commerciale che come avrete notato è sempre in bottiglia di plastica spessa e bianca.
Avrete notato che ho specificato più volte di utilizzare utensili in plastica, vetro o mestolo di legno è importante infatti evitare l’utilizzo di utensili in metallo per la reattività con l’acqua ossigenata.
Per questo preparato casalingo, ma non per questo meno efficace, dovete quindi procurarvi un flacone di acqua ossigenata 130 volumi, potete chiedere nella vostra farmacia di fiducia o in colorifici specializzati in restauro e belle arti.
Per i dosaggi, se ne utilizza un bicchiere durante il primo prelievo dell’acqua in lavatrice per il bucato oppure se utilizzate uno spruzzatore potrete igienizzare le superfici della casa.
Barbara Messe – EcoGioie