1929 UN ROMANZO AI TARTUFI

 

DAL NUMERO DI DICEMBRE 2013 DE LA CUCINA ITALIANA

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Sono passati 84 anni dal primo numero de La Cucina Italiana e dall’editoriale firmato dal fondatore e direttore Umberto Notari: “Il popolo italiano è un popolo sobrio, il che non toglie che esso non desideri e non voglia mangiar bene. Non c’è antitesi fra sobrietà e gusto: non c’è incompatibilità fra palato ed economia; non c’è dissociazione fra cucina e civiltà. Anzi. …

Sulla sobrietà di noi italiani ci sarebbe da discutere a lungo, ma il concetto che segue è tuttora condivisibile. Per rafforzare questa idea, Notari invitò a scrivere di ricette e filosofia del gusto il Gotha degli intellettuali dell’epoca -come l’amico futurista Marinetti– e la rubrica “La tavola dei buongustai” fu, fin dal primo numero, un fiorire di piatti dai nomi suggestivi, come Tango di cipolle, Il leale bollito, il Bodino d’Alaska e il nostro Romanzo ai tartufi: un piatto di carattere, originale non solo nel nome e caro solo in apparenza, poiché consigliato agli abitanti di terre vocate alla trifola e con il ripieno di ragù ai fegatini di pollo.

Grazie a questo genere di contenuti, il nuovo “giornale di gastronomia per le famiglie e per i buongustai” fu accolto con entusiasmo, centinaia di lettere di congratulazioni arrivarono alla redazione di Via Montenapoleone a Milano. La situazione economica mondiale, nel frattempo, subì un brusco peggioramento: dopo anni di boom azionario, il crollo della Borsa di Wall Street il 29 ottobre portò alla tristemente famosa “crisi economica del ’29”, propagatasi velocemente in tutto il mondo, Italia compresa. Una situazione simile per molti versi a quella che viviamo oggi. Le scelte editoriali mutarono col peggiorare della crisi e, grazie alla guida di Delia Notari, moglie di Umberto, si adeguò alle esigenze -e urgenze- delle italiche massaie alle prese con le quotidiane difficoltà domestiche.

La nostra “missione”, ora come allora, è quella racchiusa nel motto presente da quel primo numero “Mangiar meglio, spender meno”. 

Samanta Cornaviera

P.S.: la ricetta, in realtà, l’ho trovata anche in un libro del 1914, l‘Almanacco Gastronomico di Jarro, al secolo Giulio Piccini. Critico teatrale e musicale, giornalista, gastronomo: una fonte di ispirazione, ancora oggi. Qui alcune sue ricette.

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LA RICETTA

Questo è un piatto che costa: ma vi sono paesi dove i tartufi abbondano e se ne mangiano dalle famiglie, anche mediocremente agiate, a sazietà. Per coloro, dunque, che ne mangiano facilmente scriviamo e raccomandiamo la presente ricetta:

Ci voglion tartufi piuttosto grossetti. Sapete che si puliscono, si lavano più volte con acqua bollente, con un coltellino si arrotondano, ove sia richiesto, in modo che possano posare da una parte. E, dalla parte opposta, si fa un piccolo vuoto. Non gettate via quel tritume, che ne togliete: anzi, con fegatini di pollo, prezzemolo, maggiorana e, trovandoli, con minutissimi pisellini e funghetti, il tutto ben sminuzzato, formerete un piccolo ragù. Ci metterete un po’ di farina, qualche rosso d’uovo per legarlo. E, con questo, riempirete i tartufi. Se avete cinque o sei commensali ne potete dar tre o quattro per uno. Ripieni i tartufi, li porrete in una casseruola con sugo di carne, o brodo sostanzioso e li farete cuocere dolcemente. Li servirete guarniti con crostini fritti al burro.

Si può fare anche in altro modo:

Cuocete in poco brodo chiaro, riso di prima qualità; lo condirete con cacio parmigiano, vi aggiungerete torli d’uovo crudi, sale, pepe, tutto deve entrare insieme in cottura. Va bene accomodato il riso in un vassoio: sopra vi si dispongono i tartufi: lasciando uno spazio verso gli orli del vassoio e su questo spazio si porranno i crostini fritti: avrete così tre gradazioni di colori: l’oro dei crostini, lo scuro dei tartufi, le varie sfumature del riso condito nel modo che abbiamo detto.

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Quelle che vedete sopra sono le foto del piatto realizzate in redazione, con l’apporto della food stylist Beatrice Prada, la preparazione a cura di Jeolle Nederlants e le foto di Riccardo Lettieri. 

Vi state chiedendo se è buono?! Beh, lo è. Ne ho dubitato (non amo i fegatini, o meglio, non li amavo), ma mi sono ricreduta.

E’ un gusto tondo, senza picchi, senza troppi contrasti. Avviluppante, piacevole. Non indimenticabile, ma buono. Di certo non è un piatto da fare a caso, giusto per portare qualcosa in tavola. Dev’esser fatto per occasioni speciali, per grandi amici o per amati compagni di vita. Costa e ci vuole tempo. Se e quando lo preparerete, ricordatevi di inventarvi una bella storia romanzata da raccontare agli astanti mentre tagliano il tartufo e ne saggiano l’amalgama con il riso. Un’ avventura romantica, struggente e avvincente. E’ un’ingrediente fondamentale.