“Bell’atto di civismo danno le nostre popolazioni raccolte nei Dopolavoro col dar mano alla produzione orticola nei terreni lasciati finora al solo godimento della vista ed altri che l’incuria dell’uomo negligeva in attesa di altre sistemazioni (giardini, aiuole, cortili, terreni fabbricabili, ecc.). Se riflettiamo che mediante tale contributo noi possiamo godere di generi freschissimi ed al più basso costo, tutto ciò che ci darà motivo di non piccola soddisfazione. Da parte nostra facciamo il possibile per andare incontro alle necessità famigliari, con modesti suggerimenti e col più alto spirito dell’ora.”
Così recita l’introduzione della rubrica “L’articolo del Maestro” di quel febbraio 1942 firmato dall’ormai mitico (per me, per massaie over 80 e/o per irriducibili sostenitrici della monarchia) Amedeo Pettini, Capo cuoco della Maestà del Re e Imperatore, a quel tempo onnipresente pensatore di ricette per ogni evenienza. Rubrica che raccoglie una serie di semplici ricette fra le quali questa anomala Insalata calda del legionario, composta da crostini abbrustoliti e agliati, ravvivati da acqua e aceto, sovrastati da rape spadellate e una concia di olive, capperi, acciughe, mollica di pane e (di nuovo) aceto, guarniti da broccoletti lessati.
Un titolo che ha catalizzato la mia attenzione, facendomi dimenticare repentinamente il sottotitolo “I prodotti dei campicelli di guerra e la loro utilizzazione”, dannazione!
Di Amedeo abbiamo già parlato in altri post, proprio perché è stato uno dei più prolifici ricettatori (ehm, persone che scrivono ricette) di tutti i tempi pre-televisivi, e su LCI lo troviamo pre e post guerra, pre e post fascismo, buono per ogni stagione politica e climatica. Il gusto – e i suoi seguaci- non ha bandiere. O non ha memoria. Ma poco importa, tutto sommato ci siamo abituati a individui ben peggiori, anche considerando il fatto che Amedeo ci ha lasciato in eredità delle perle, dei veri gioiellini di ricette, dai nomi fantasiosi ed evocativi, inclini a raccontarci molto più di semplici preparazioni e intrecci di ingredienti: il boccone della crocerossina, il risotto alla stratosfera, lo sformato autarchico, la focaccia dell’atleta e mille altre, oltre ai menù reali delle grandi occasioni. Il cibo, mi vien da pensare nella mia semplice testolina da massaia, non è solo gusto o materia per il piacere del palato e della mente, ma il sunto del mondo che gli gira attorno, una trasposizione in forma e sapore del preciso momento storico che l’ha concepita.
Per questo piatto ho navigato a lungo, in trance massaica ho passato svariati pomeriggi a farmi una cultura sui legionari, a partire da quelli romani, forti e spavaldi combattenti, per continuare con quelli dell’impresa di Fiume e di D’annunzio, i legionari in epoca fascista e i battaglioni “M” , per finire poi con l’immancabile Legione straniera.
Senza trovare traccia di rape o insalate o acciughe. Senza trovare tracce di cibo.
Senza badare alle parole di Amedeo.
Distratta dalla storia che mi ero immaginata, che prevedeva giovani legionari in battaglia mentre si rifocillavano alla meno peggio con sti crostini, nel terribile caldo africano o nel gelo della steppa russa. Non dovrei bere alcool (per quanto buono) quando cerco tracce di archeologia culinaria.
Siamo nel gennaio 1942, un momentaccio per gli italiani, guerra e miseria, giovani mandati al fronte e madri in lacrime, fame e paura. Nel giugno del ’40 l’Italia entrò in guerra, Mussolini pensò bene di avviare la Campagna dell’Africa Orientale Italiana e giusto qualche mese prima dell’uscita di LCI con questa ricetta, si tenne la Battaglia di Gondar in Etiopia (all’epoca chiamata Abissinia): qui e qui alcuni video per entrare nel mood. Tanti altri legionari (cioè i soldati semplici appartenenti alla Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, le “camice nere”) erano in Grecia e altri in Russia, a combattere in nome e per conto di M.
Ho cercato riferimenti a crostini con rape e condimenti vari, piatti tipici greci o russi o nordafricani che contenessero qualche ingrediente fra quelli usati per questo piatto. Ma niente che mi convincesse.
E allora, ri-rileggendo l’introduzione alla ricetta scritta da Pettini, allargando l’orizzonte visivo e distraendolo dalla singola ricetta, ho capito! Tardo, alle volte. Non è un piatto per i legionari in battaglia, ma per le loro madri rimaste a casa, sole e con una fame urgente, una ricetta semplice per glorificare con il cibo le gesta degli eroi combattenti, del regime, della potenza di Mussolini, dell’ideologia fascista.
Era, sopratutto, parte integrante della pressante propaganda volta a supportare e corroborare la campagna intrapresa nel 1925 da Mussolini con la Battaglia del grano per l’autosufficienza alimentare e l’autarchia. Tra il 1940 e il 1942, il regime (anzi, l’Opera Nazionale Dopolavoro) spinse il popolo italico a lavorare volontariamente e alacremente per gli “orti di guerra”: ogni aiuola, campo da calcio, da golf o recesso verde e incolto venivano occupati da patate, rape, frumento e ogni altro bendiddio a disposizione.
Qui alcune scene del raccolto a Roma e qui della trebbiatura in piazza del Duomo a Milano.
Non va bene, amiche massaie, non mi piace trovarmi d’accordo con un’idea fascista. Sono fortemente combattuta, ma la trovo un’idea meravigliosa. Rivista e corretta, ovviamente. Bando alle pansè e avanti con cipolle e carote. Io ho una sana passione per l’orticello, ma vivendo in città (Milano) non ho la possibilità di seminare e raccogliere. Ho un bel balcone di un metro per un metro ricolmo di piante aromatiche e fragole ogm, ho coltivato in vaso arachidi, zucchine, zucche, pomodori e peperoni, ma non è la stessa cosa. Niente appaga la mia voglia di terra perché ho bisogno, per istinto, di coltivare, di far crescere, di produrre. Per fortuna mia, deve aver percepito l’esigenza di noi massaie quarantenni anche l’ex assessore milanese Stefano Boeri che lo scorso settembre ha dato il via a ColtivaMi, un progetto di “orto diffuso” o “orto urbano” (presente già in molte altre città italiane) che coinvolge 25.000 mq di terreno cittadino, destinati a diventare 300 orti gestiti da associazioni di cittadini, Onlus, enti o aziende. Un bel progetto davvero! Necessario, se pensiamo al tema del prossimo Expo2015: Nutrire il pianeta. Energia per la vita. Necessario, se pensiamo a quanto fa bene all’anima vedere all’opera la natura.
Ma tornando alla ricetta, com’è sta insalata calda del legionario?
Beh, buona, insolitamente buona nonostante tutto quell’aceto, semplice da preparare e sana da mangiare. Equilibrata nel gusto (a saper maneggiare con cura l’aceto), migliorabile nella presentazione (ah!, signora mia, nella vita non si finisce mai di imparare).
Eccovi la ricetta originale:
Preparate delle fette arrostite come le precedenti (pane integrale e fatele tostare sulle braci); strofinatele con l’aglio e accomodatele nel fondo di una terrina, versandovi aceto misto ad acqua e sale in discreta misura. Prendete un mazzetto di rape non troppo grosse, proprio come ne escono dagli orticelli di guerra, mondatene i capi con le migliori foglie e lessate tutto, ma non troppo. Tagliate le rapine a fettine per traverso, asciugatele bene, e distendetele nella padella con un velino d’olio per farvele colorire d’ambo le parti. Allestire una salsetta tritando finemente o pesando nel mortaio un cucchiaio di capperi, la polpa di una trentina di olive nere ammollate in acqua calda, prezzemolo, spicchio d’aglio, i filetti di 2 acciughe ed una quantità proporzionata di midolla di pane inzuppata nell’aceto; passate per staccio se ciò vi aggrada, poi diluite con due ditine d’olio ed altrettanto aceto. Accomodate le fette nell’insalatiera, adagiatevi sopra le rapine, ponetevi in giro i broccolini o fogliuzze lesse, cospargete bene con la salsa e mandate in tavola caldo.
Ed ecco, infine, che mi scopro a scrutare con occhi furbetti il metro quadro di praticello incolto (tempestato di cacche di cani) qui sotto casa… Una bella fila di patate, fagioli di Lamon, verdurina fresca e passa la paura.
“L’aiuola è mia e me la gestisco io” è il nuovo motto di noi massaie urbane in cerca di sementi. Sappiatelo.
Eccovi, infine, le altre pagine del numero di gennaio 1941