L’articolo della rubrica Ieri e oggi (ex Massaie moderne) da La cucina italiana di novembre.
E’ la volta delle Uova dei tre fritti di Giorgio Albertazzi. Vi avviso subito che la versione provata (e assaggiata) nella cucina de La cucina italiana è diversa dall’originale. Manca tutto il fritto nell’uova dei tre fritti. La scelta, opinabile, è stata dettata dalla volontà di proporre un piatto più leggero e digeribile, a voi rimane però la possibilità di strafogare nel frittume e godere appieno di questa meravigliosa bomba calorica. In entrambi i casi, mie care massaie, è da urlo.
Classe 1923, Giorgio Albertazzi debuttò come attore in teatro a 26 anni con uno spettacolo firmato nientemeno che da Luchino Visconti, dopo una giovinezza complicata che culminò, alla fine della seconda guerra mondiale, con due anni di carcere per collaborazionismo. Nel ’57, aveva da poco iniziato il sodalizio, artistico e sentimentale, con Anna Proclemer e calcava i palcoscenici più importanti d’Italia con La figlia di Jorio e Un cappello pieno di pioggia – regia di Luigi Squarzina -, mentre la partecipazione a sceneggiati e programmi Rai accresceva la sua notorietà anche in ambito televisivo. Attore, regista e sceneggiatore ancora in attività, a 91 anni gode di un temperamento vivace ed energico, come ci ha dimostrato con la recente partecipazione a “Ballando con le stelle”. Di certo, un po’ di merito va anche alle sue abitudini alimentari. Come si legge nell’articolo, da buon toscano ha sempre amato i cibi semplici cucinati con cura: carne ai ferri e legumi lessati, spaghetti al pomodoro e le uova, il suo piatto preferito. Quella “dei tre fritti” è una ricetta che profuma di campagna, di cose buone, di focolare domestico. Stesse caratteristiche anche per l’altra ricetta narrata nell’articolo, un curioso tortino con fette di pane imburrato e inzuppate nel liquore intervallate da composta di mele e passato al forno, che Albertazzi chiama “marmellata di pane”. Ingredienti rustici assemblati in vivande ricche, strutturate e appaganti, come voleva la cucina di quel tempo, quando gli italiani si lasciavano alle spalle il ricordo della fame per far spazio all’abbondanza di una crescente agiatezza, che culminerà di lì a poco con il miracolo economico.