“Come ognuno sa, questa Pasta fu servita al gran pranzo di chiusura del Congresso di Vienna. Non oso dire con questo che fosse per la prima volta, però la sua confezione dovette essere ben accurata per rimanere così chiara traccia nel mondo dei palati di maggior credito.”
Amedeo Pettini
Apperò! Addirittura?! Non che non sia buona, per carità! Anzi, è delicata, soffice e leggera nonostante le 7 uova e i 250 gr. di burro, ma non capisco tutta sta pomposità, ecco!, sta magnificenza. E’ una buona torta che profuma di vaniglia e limone, forse più adatta (per i palati moderni, ovviamente!) per una bella inzuppata nel cafelatte o nella cioccolata calda che come dessert per un fine pranzo reale. Molto simile alla Pasta viennese, una base ottima per torte farcite. Ecco, è un buon Pan di Spagna con molto burro, una simil Genovese.
Gusti son gusti, massaie, specialmente se son quelli dell’Amedeo. Chi sono io per giudicare il capocuoco del Re, che tante gioie mi dà con i suoi manicaretti?
Ma non solo! Qui c’è pure la possibilità che di mezzo ci sia nientepopodimenoche lo zampino di Marie Antoine (Antonin) Carême, famosissimo cuoco francese. Forse. Non è certissimo.
Per (cercare, invano, di) farla breve, vi dico che il dolce in questione l’ho scovato nel numero di dicembre de La cucina italiana del ’32, nella rubrica La tavola dei buongustai, dove tutti i mesi si potevano leggere le ricette delle più illustri personalità, ma che in questo numero riportava i menù della Casa reale per la Colazione natalizia (ovvero il pranzo) e il Pranzo di Capodanno (ovvero la cena), firmati dall’Amedeo, all’epoca già 67enne, capocuoco del Re Vittorio Emanuele III da 4 anni e in procinto di andare in pensione.
Scrive Pettini:
NATALE E CAPODANNO A CORTE
La vita intima delle persone reali d’Italia non differisce da quella dei comuni mortali, se non per un senso di continua, ininterrotta esemplarità. Da questa incontrovertibile premessa, ne viene di conseguenza che gli stessi giorni di solennità, non portino in certi ambienti sostanziali cambiamenti, neppure alla mensa; ragione per cui le liste cibarie per il Natale e il Capo d’Anno a corte non segnano un grande divario dalle liste giornaliere. Una bene intesa “standardizzazione” della vita sociale unisce oramai l’Italia tutta: di maniera che nessun intervento sarebbe oggi possibile per le leggi santuarie di antica memoria. In qualsiasi modo, la maggioranza dei lettori de La cucina italiana ricaverà quivi materia di qualche rilievo tecnico; ed è appunto perciò che fu sommamente gradito all’estensore di queste note, raccogliere il cortese invito dell’on. Direttrice, signora Delia Notari, ed esporre in assunto la spiegazione delle seguenti liste:
COLAZIONE NATALIZIA
Timballo di tagliatelle alla fiorentina
Aragosta alla crema – salsa maggiordomo
Tacchinotto al forno con primizie
Insalata trevisana e lattuga alla piemontese
Pasta del Congresso con panna
PRANZO DI CAPODANNO
Zuppa di tartaruga
Filetti di sogliole sulla gratella con piselli
Arrosto: Vitella e cappone lardellati con contorno
Insalata alla milanese
Sedani rapa alla Cadorina
Spuma gelata con pere, salsa cioccolata
Paste sfogliate.
Vi dirò, per un momento ho pensato di preparare tutta la Colazione natalizia (quel timballo di tagliatelle alla fiorentina – con sugo di lepre e un mucchio di altri ingredienti – mi stuzzica assai). Sfortunatamente, non ho avuto il tempo materiale di andare oltre il dolce…
Mi rifarò il prossimo anno.
Ma torniamo alla Pasta del Congresso. Pettini ci fa sapere che è un dolce molto conosciuto e presentato con particolare successo al pranzo di chiusura del Congresso di Vienna, tenutosi nel 1814, 118 anni prima.
E ancora se lo ricordavano, pensa un po’…
Non tenterò di spiegarvi cosa è successo durante il C.di V., quando c’è la Treccani che lo fa così bene:
Vienna, Congresso di Complesso dei negoziati svoltisi (1814-15) tra le potenze vincitrici del decennale scontro con Napoleone (Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna), ai quali parteciparono anche quasi tutti gli altri Stati europei. I principi a cui si ispirò il C. di V., sotto la leadership del rappresentante austriaco K.W.L von Metternich, furono quelli della legittimità, con il ripristino dei sovrani spodestati da Napoleone, e dell’equilibrio politico, garantito dalla divisione dell’Europa in sfere di influenza, dalla barriera di Stati ai confini della Francia, dall’ingrandimento di Prussia e Regno di Sardegna, dalla limitazione dell’espansione della Russia e dalla funzione di controllo dell’Impero austriaco. L’atto finale del C. di V. fu firmato anche dalla Francia, grazie all’abilità diplomatica di C.-M. de Talleyrand, che seppe riconquistare un ruolo di primo piano tra le potenze europee.
Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, principe di Benevento, ministro degli esteri francesi, fu quindi un uomo chiave per la risoluzione del Congresso e sembra che un po’ di merito vada anche alla sua abilità paraculistica. Leggete qua:
Charles-Maurice de Talleyrand uomo della Rivoluzione e della Restaurazione, ministro di Napoleone e poi dei Borbone, fu soprattutto un tempista eccezionale nello sfruttare, oltre i limiti del cinismo, le debolezze degli uomini. E dove mai l’uomo è più debole e indifeso che a tavola? Perciò Talleyrand, cui si deve l’invenzione del parmigiano grattugiato sulla minestra, si portò al congresso di Vienna il più grande cuoco del tempo, Antonin Carême . Con le sue creazioni Talleyrand sedusse i diplomatici delle potenze ex nemiche, e manovrò con tanta abilita, che nessuno trovò scandaloso che la Francia dello sconfitto Napoleone, sedesse al tavolo della pace tra le grandi potenze. Re Luigi XVIII suo re (fratello minore di Luigi XVI), che voleva impartirgli istruzioni, ricevette questa risposta da Talleyrand: “Sire, ho più bisogno di casseruole che di istruzioni”. Il suo motto era: quando un negoziato va male, bisogna dare un pranzo. Se l’ospite era superiore di rango, porgeva lui il piatto: ” Posso avere l’onore di servirvi? “. Agli eguali diceva: ” Mi concedete il piacere di servirvi? “. Agli inferiori: ” Volete servirvi? La magnificenza dei banchetti obbediva a un calcolo preciso: stupire gli invitati, perché lo stupore apre la strada alla simpatia e al consenso. (da www.taccuinistorici.it)
L’asso nella manica, quindi, è stato lui: Antonin Carême, “il cuoco dei re e il re dei cuochi”, il più famoso chef francese, il primo a fregiarsi del titolo di cuoco e pasticcere, il fondatore del concetto di “alta cucina”. Ullallà! Un genio! Innovatore, visionario, autodidatta, Careme è uno che si è fatto da solo e ha stravolto le regole della cucina di quel tempo, imponendo nuovi modelli estetici ed igienici, oltre a dimostrarsi uno scaltro diplomatico del fornello.
Da approfondire.
Qui sotto Careme, la sua cucina e alcune sue creazioni
Ora, non è detto che la nostra P. del C. sia direttamente imputabile a Carême, ma mi piace pensarlo. E’ pur vero che la tradizione viennese e austriaca, in fatto di dolci, ha i suoi bei assi nella manica. Rimaniamo così, nel dubbio, gustandoci questo delizioso dolce, accompagnato da panna montata (come vuole l’Amedeo) e qualche chicco di melograno a ravvivare un po’ il gusto e smorzare l’eccessiva dolcezza.
Io, ad esempio, tolgo sempre una piccola percentuale di zucchero alle ricette che trovo su libri e giornali, di ieri come di oggidì. La panna non è zuccherata, ma lo zucchero a velo fa già il suo porco mestiere. Tanto basta.
Eccovi la ricetta originale
Dose: 250 gr. di burro, 150 gr. di zucchero (ne ho messi 120), 250 gr. di fecola, 25 gr. di farina, 6 tuorli, 1 uovo, scorza di limone grattugiata, presa di vainiglia e presina di sale. Lavorare il burro in terrina fino a renderlo spumoso, unire lo zucchero, incorporarvi le uova uno per volta, l’aroma, il sale ed in ultimo la fecola e la farina, Cuocere dentro stampi bassi e bordi uniti con burro chiarificato e spolverizzati con fecola; forno mite. Accompagnare la pasta, leggermente cosparsa di zucchero al velo vanigliato, con un piatto di panna.
Dunque, lavorate a luungo il burro per renderlo spumoso, aggiungete lo zucchero e unire un uovo alla volta, gli aromi, sale, fecola e farina setacciate. il tutto deve risultare montato e arioso. il resto è storia. Forno a 160/170, statico, per circa mezz’ora.
Bene, è tutto. Passate delle feste allegre e serene, bevete bene e mangiate meglio, magari inserendo la Pasta del Congresso fra i dolci del vostro pranzo di Natale.
Semplice, buona , un dolce da Re fattibile da qualunque massaia moderna.