Smettetela di borelleggiare e provate a fare questo delizioso sformato di pollastra, Massaie!
Via quello sguardo sofferto, liberatevi di quel vittimismo incipiente!
Finalmente avete trovato una ricetta ricca di panna, uova e vita vissuta, eventi epici, intrecci e amori e successi e viali del tramonto.
Mica uno smoothie veg qualsiasi, suvvia, qui si rielabora la storia in forma di ricetta!
È a prova di incapace, soddisfa grandi e piccini, ci si mette poco a farlo e ancor meno a finirlo. Si può spacciare come secondo piatto/piatto unico accompagnato da un’insalatina primaverile o come delizioso boccone monouso perfetto per uno degli innumerevoli aperitivi che organizzerete appena arriva un po’ di caldo.
È dannatamente buono e potrete vantarvi con i vostri amici di conoscere la vita di una delle prime e più celebri dive del cinema muto: Lyda Borelli.
Lo dico per esperienza.
La ricetta è contenuta nell‘Almanacco gastronomico di Jarro, pseudonimo di Giulio Piccini (di cui ho scritto anche qui qui e qui e qui). Toscanaccio verace, Jarro fu un famosissimo critico teatrale e musicale, collaboratore del Corriere della Sera e di altre testate nazionali, scrittore di numerosi libri, amico di personaggi del calibro di Gabriele D’Annunzio. Dal 1912 al ’15, curò l’Almanacco gastronomico per l’editore Bemporad. Il suo intento era quello di scrivere un ricettario divertente e curioso, infarcito di ricette onomastiche, storielle e facezie culinarie, forte dell’esperienza ai fornelli e delle sue influenti frequentazioni. Morì proprio nel ’15, a 67 anni, probabilmente a causa dell’enorme quantità di grassi saturi ingurgitati per la compilazione dei succitati Almanacchi e nelle innumerevoli cene organizzate con amici goderecci.
Di seguito, un aneddoto che riguarda la grande attrice francese Sarah Bernhardt, ospite di D’Annunzio e collega (e forse amante) di Eleonora Duse.
LYDA BORELLI
Perché Jarro ha dedicato questa ricetta a Lyda? Perché in quel 1915, anno in cui iniziò l’incubo della Grande Guerra in Italia, lei era al culmine del suo successo.
Come già detto, gli Almanacchi sono pieni di ricette dedicate ad amici o personaggi famosi: fagiano alla Caruso, lepre alla D’Annunzio, maccheroni alla Renato Simoni, gnocchi di pesce alla Mattia Battistini e via dicendo…
Personalità affermate che Jarro frequentava grazie al suo lavoro di giornalista e critico.
Lyda l’avrà conosciuta nel 1904, penso fra me e me, quando lei, ventenne, debuttò al fianco della grande Emma Gramatica nella prima dello spettacolo La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio, al Teatro Lirico di Milano.
O l’anno dopo, quando recitò con il mito Eleonora Duse nello spettacolo Fernanda.
Oppure aveva una sfiziosa ricetta da proporre e gli serviva una “bella pollastra” a cui dedicarla.
O a casa del Vate.
Jarro, fiorentino, fu un assiduo frequentatore della Capponcina, la villa vicino a Firenze dove D’Annunzio visse dal 1895 al 1904 per stare vicino alla sua amata Duse, lo testimoniano i tanti aneddoti riportati negli Almanacchi che riguardano proprio il Vate. Poi D’Annunzio scappò in Francia per fuggire ai creditori e tornò in patria nel maggio 1915 per dar manforte agli interventisti e prendere attivamente parte alla Grande Guerra.
Nel frattempo, il successo di Lyda cresceva, fino alla consacrazione definitiva, arrivata nel 1913 grazie al suo primo film muto: Ma l’amor mio non muore!
Nato nel 1895 con i Fratelli Lumière, il cinema muto ha avuto il picco di popolarità proprio nel primo decennio del ‘900. Negli Stati Uniti, il film The birth of a Nation del 1915 incassò l’incredibile cifra di 10.000.000 dollari. In Italia, Lyda era la diva più acclamata. Pensate che persino Antonio Gramsci si occupò dell’incredibile (nel senso che non se ne spiegava la ragione) successo della Borelli, con un articolo sull’Avanti nel 1917, per l’uscita del film Rapsodia satanica! Qui potete leggere il simpatico articolo (ci va giù pesante, l’Antonio), io vi ammorbo solo con questo estratto:
Questa donna è un pezzo di umanità preistorica, primordiale. Si dice di ammirarla per la sua arte. Non è vero. Nessuno sa spiegare cosa sia l’arte della Borelli, perché essa non esiste. La Borelli non sa interpretare nessuna creatura diversa da se stessa. Ella scande semplicemente i periodi, non recita. Perciò preferisce le opere in versi, e predilige Sem Benelli, il quale scrive per la musica delle parole piú che per il loro significato rappresentativo. Perciò anche la Borelli è l’artista per eccellenza del film, in cui lingua è solo il corpo umano nella sua plasticità sempre rinnovantesi.
Wikipedia, col senno di poi, dice di lei:
Analizzando sia lo stile recitativo che la diva creò per se stessa, emerge un forte legame con le correnti simboliste, connotate dal gusto liberty e da quello del decadentismo. Le sue pose enfatiche, caratterizzate da un’espressività intensa e accuratamente studiata, dimostrano come la diva sia stata fortemente influenzata dal fenomeno del modernismo.
Insomma, l’impronta dannunziana si rifletteva sul suo stile recitativo, permettendole di rappresentare il modello di donna perfetto, al momento giusto. Tanto piaceva al pubblico, sia maschile che femminile, che diventò un vero fenomeno sociale, generando mostri:
L’imitazione della diva divenne un fatto di costume, al punto che nuovi termini furono coniati per definirlo: ‘borelline’ erano le fanciulle smagrite che ondeggiavano nelle strade, ‘borellismo’ l’ossessione emulativa del pubblico femminile; ‘borelleggiare’ entrò nei dizionari coevi, per significare “lo sdilinquire delle femminette, prendendo a modello le pose estetiche e leziose dell’attrice Lyda Borelli” (A. Panzini, Dizionario moderno, 1923⁴, p. 74) da Treccani.
In pochissimi anni girò 13 film (alcuni si trovano su Youtube) e poi si ritirò dalle scene, nel 1918.
Basta. Stop.
Finisce la guerra e lei chiude con il cinema.
Il perché è presto detto: l’incontro con l’uomo che l’avrebbe resa madre di 4 figli, Vittorio Cini, Conte di Monselice nonché facoltosissimo imprenditore, le cambiò la vita e i piani per il futuro.
E qui bisognerebbe raccontare la storia della famiglia Cini, troppo lunga per un post su uno sformato di pollo.
Sappiate solo che Vittorio ereditò dal padre diverse cave di trachite in Veneto, che aveva uno dei patrimoni più cospicui di quei tempi, che partecipò alla WW1, che “aiutò” Venezia -sua città d’adozione- a diventare più produttiva, gettando le basi per il Porto industriale di Marghera (che di fatto ha completamente rovinato e inquinato la laguna), che gestì l‘ILVA e che fu pure Ministro per le Comunicazioni nel ’43, salvo poi lasciare la carica per divergenze ed essere imprigionato a Dachau dai tedeschi. Fu fatto evadere dal figlio Giorgio che poi, pochi anni dopo, morì in un incidente aero. A lui è dedicata la Fondazione Cini di Venezia.
Da longaronese, non posso dimenticare il ruolo di Vittorio Cini nella vicenda Vajont. Amico e socio del conte Volpi di Misurata, Cini è stato il presidente della Sade dal ’53 al ’64, la società che ideò e realizzo la tristemente famosa diga del Vajont, sul confine fra Veneto e Friuli, lì davanti alla bella e animata cittadina di Longarone, lì di fianco ad un’enorme frana di origine preistorica, pronta a staccarsi in quella notte del 9 ottobre 1963.
Quella della tragedia del Vajont dove morirono 2000 persone (alcune anche della famiglia di mio padre). La mia gente.
Lyda morì di malattia prima di tutto questo, nel 1959, e il marito volle dedicarle una Fondazione (aridaje), la Fondazione Casa Lyda Borelli di Bologna, dove possono soggiornare artisti e attori in pensione.
E ora (è ora) veniamo alla semplicissima ricetta. In pratica, ci mettete di più a leggere tutto sto post che a fare il meraviglioso Pollo alla Lyda Borelli.
LA RICETTA
Un maestro elementare domanda a un bambino:
– Dimmi il nome di uno straordinario quadrupede.
– Due polli!
– Era meglio se mi davi il tuo nome!…
Si sa che col pollo si fanno squisite pietanze, Ne ho provata una di recente, meravigliosa, che vi raccomando nel nome della originale artista. Cuocete una bella pollastra lessa: levatele tutte le ossa, passate la sua carne per il coltello più minuto della macchina da tritare. Mescolate all’impasto tre uova, ben sbattute, un bicchier di panna, funghi o tartufi finemente sminuzzati, un po’ di scorza di limone grattata. Imburrate le pareti di una forma, e quindi, disponetevi bene tutto il vostro impasto e mettete in forno a cuocere dolcemente. In fondo alla forma metterete, prima di gettarvi l’impasto, un pezzo di carta imburrat
Questa è la trascrizione di parte della ricetta, che vi pregherei di leggere qui sotto nelle foto, ne vale la pena.
Come fare? Lessate il pollo, sminuzzatelo col coltello, uniteci la panna, le uova, i funghi, la scorzetta di limon, sale qb e il TARTUFO. Se c’è. Sennò non ce lo mettete, mi sembra evidente. Buono lo è lo stesso… certo, col tartufo sarebbe ancora meglio!