Una ricetta del 1903 dal ricettario Fuoco Sacro di Ida Baccini, provata e assaggiata da Roberta Libero, massaia professionista. Come ho già detto in altri suoi post, Roberta è dotata di grande passione per l’argomento cibo-cucina-tradizione e di immenso patrimonio di foto d’epoca della sua famiglia, gelosamente custodito e riproposto qui in abbinamento a ricette d’antan.
Non le trovate invitanti queste valigette di riso?
Di Roberta Libero
Era una fredda mattina d’inverno. Sulla spiaggia di Kitty Hawk, nel North Caroline, soffiava un vento forte; era il 17 dicembre del 1903. Aveva piovuto e le pozzanghere erano ghiacciate. Non sembrava proprio la giornata ideale per tentare quello che nessun altro aveva tentato prima: far alzare in volo una macchina a motore più pesante dell’aria! Eppure, tra l’incredulità dei suoi stessi costruttori, il Flyer si librò in aria percorrendo 36 metri a tre dal suolo. Ai comandi c’era uno dei fratelli Wright, Orville, disteso a pancia in giù in quello strano aliante di legno e tela bianca. Altre tre volte , in quello stesso giorno, i due fratelli riuscirono a far decollare la loro creatura alata. L’ultima volta, a mezzogiorno; Wilbur Wright volò per due chilometri. Il sogno di Icaro si era realizzato, iniziava l’era gloriosa dell’aeronautica!
IL CONTESTO STORICO
L’aereo fu, forse, la più entusiasmante invenzione di quel periodo felice chiamato “La Belle Epoque”. Insieme all’elettricità, la radio, l’automobile, il cinema e le scale mobili. In questo periodo di pace e prosperità si costruirono enormi transatlantici, si estese la rete ferroviaria e si organizzarono fiere mondiali come l’ Esposition Universelle di Parigi nel 1900.
La pastorizzazione e il vaccino contro la tubercolosi migliorarono le condizioni di vita in modo tangibile e i salari un po’ più generosi crearono una società di consumatori, indispensabile per smaltire la crescente produzione dell’industria manifatturiera. Non bastava più che a spendere fossero solo le classi più abbienti, occorreva coinvolgere negli acquisti anche i ceti più poveri. Nacquero così le vendite a rate e quelle percorrispondenza per raggiungere fasce sempre più larghe di clienti.
L’arte, la letteratura, la musica, il teatro, l’ architettura e la moda, tutto aveva un’aria leggera, fuori dagli schemi classici. Si usciva di sera per andare nei tabarin e nei caffè letterari. A Parigi il Moulin Rouge attirava gli spettatori con le sue ballerine di can-can!
Ma il fuoco covava sotto l’apparente, dorata superficie . Lo scoppio della Grande Guerra, nel 1914, ruppe l’incantesimo e dopo questo periodo di euforia e frivolezza il mondo si risvegliò piombando tragicamente nel grigiore e nella disperazione delle trincee.
Se nel primo conflitto l’aereo ebbe un ruolo marginale, fu nella Seconda Guerra Mondiale che si rivelò determinante. Purtroppo quella che doveva essere un’invenzione di pace e sviluppo si trasformò in questo frangente in portatrice di morte, fino all’azione più terribile, ma, pare, inevitabile: le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
BENVENUTO, L’AVIATORE!
L’aeronautica è stata protagonista nelle vicende della mia famiglia, influenzando in modo determinante la nostra vita. Papà Benvenuto si arruolò giovanissimo, nel 1934, subito dopo la morte del padre. Il fratello Bruno, invece, era già partito nel 1931. All’inizio fu soltanto per sfuggire alla povertà, poi la passione per il volo e per i motori li coinvolse completamente. Papà aveva soltanto 17 anni, così frequentò per un anno la scuola militare per montatori di Bologna prima di partire per l’Africa. Zio Bruno, invece, diventò pilota istruttore.
Le molte foto che portarono dall’Africa orientale e dalla Libia raccontano la loro vita lontano da casa. Le dediche alla mamma dicono la nostalgia, ma anche l’entusiasmo di un’esperienza indimenticabile.
Passo le ore a studiare queste immagini; ogni volta mi accorgo di un particolare che non avevo notato prima o, sistemando con cautela una piega, scopro, come è successo ieri, un numero sull’ala dell’aereo da cui aveva scattato la foto, il tassello mancante del puzzle. Sulla parete della cameretta dello zio alla base aerea di Gura, vicino ad Asmara, c’è un manifesto. Con la mia lente da orefice ho identificato i quattro volti. Una foto nella foto! Sono Re Vittorio Emanuele III, Mussolini, il generale Badoglio e il Maresciallo Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia. Gente poco raccomandabile, perbacco! Che brutta compagnia per la notte.
Papà era un tipo spiritoso. Si faceva fotografare in pose curiose e divertenti; spesso insieme agli abitanti del posto. Fotografava i villaggi, gli obelischi, i tucul e le abitazioni scavate nella roccia, sempre alla ricerca del contatto umano e della conoscenza. Quella in cui spinge l’aratro è la mia preferita . Con una bandana bianca e il volto abbronzato sembrava un vero africano! Numerose quelle che lo vedono arrampicarsi sulle palme da datteri, con la “schisceta” del rancio appesa ai pantaloni, o quando prepara proprio lui la zuppa per i commilitoni!
LA RICETTA
Oh, finalmente si parla di cucina, direte voi. È vero, avete ragione, Massaie moderne si occupa di ricette, vecchie ricette, per la precisione e quella di cui vi parlerò è, guarda caso, del 1903. Va beh, ci ho messo un po’, ma alla fine il collegamento è perfetto. L’autrice della ricetta è Ida Baccini. Scrittrice e giornalista, direttrice di “Cordelia”, il primo vero giornale per l’infanzia e l’adolescenza, nacque e visse a Firenze.
Morì nel 1911 lasciando numerosi libri per ragazzi, testi scolastici, raccolte di racconti e diverse collaborazioni giornalistiche. Scrisse anche un libro di cucina, “Fuoco Sacro”, dal quale è tratta la nostra ricettina archeologica, pubblicato dall’editore Licinio Cappelli di Rocca San Casciano . Titolo un tantino altisonante per una raccolta di piatti “casalinghi” dedicati alle massaie dell’epoca, ma tant’è. Non pensate alle Vestali o al braciere del Sabato Santo. Avrà voluto riferirsi al sacro fuoco del focolare domestico? Credo proprio di sì! La ricetta è “Valigette di Riso”. Oh perdinci, non ci avevo pensato, per un viaggio in aereo un po’ di bagaglio ci vuole! Leggero, però, una valigetta semplice, di sostanza, ma trattata con delicatezza e misura. Non vogliamo pagare la differenza di peso, vero?
Ma veniamo al sodo, ecco il testo originale.
Come sempre le dosi sono approssimative, l’unico dato certo è quello dei tuorli d’uovo. Dovrò trovare il giusto equilibrio con gli altri ingredienti. È un piatto unico alquanto nutriente. Una bella insalata e della frutta basterà a completare il pasto. Le braciuole sono sicuramente delle fettine di fesa e per prosciutto credo si tratti del crudo, il cotto non si noterebbe tra tanti sapori. Che l’autrice intendesse quello toscano, sapido e gustoso? E se, invece, optassi per quello dolce di Montagnana? Dubito che Ida Baccini lo conoscesse, ma, un po’ di sano campanilismo me lo concedete? La prima prova non è andata troppo bene, troppo pane e troppo poco prosciutto. Non sapeva di niente.
Ma al secondo tentativo, bingo! Proporzioni equilibrate, gusto intenso ma delicato, consistenza morbida e fondente, ehi Roberta ti dai ai voli pindarici, che ti prende sembri una food blogger vera, torna sulla terra! Sì, sì, scusate, dunque, eccomi qui, vi do le dosi, quelle giuste.
INGREDIENTI
Per 4 persone
4 fettine di fesa di vitello da 150 grammi l’una
Mollica di pane raffermo grammi 150
Latte quanto basta per ammorbidire
3 tuorli d’uovo
150 grammi di parmigiano grattugiato
150 grammi di prosciutto crudo tritato finemente
Un’idea di noce moscata
Sale, pepe
Prezzemolo tritato
70 grammi di burro
Uno scalogno grammi 50
3 pomodori San Marzano maturi
50 grammi di gruyère
COME HO FATTO
Ho strizzato bene il pane ammollato nel latte, ho unito il formaggio, il prosciutto, i tuorli e ho profumato con la noce moscata. Ho regolato di sale e pepe e ho messo il ripieno in frigo per renderlo più compatto. Se vi risultasse troppo molle aggiungete del formaggio.
Ho sbollentato, sbucciato e tagliato a cubetti i pomodori; li ho messi poi in un colino, salandoli leggermente, a perdere l’acqua di vegetazione. Così ho interpretato l’espressione “ pomodoro colato”. Visto il risultato, penso di aver fatto bene, il passato avrebbe reso la salsa banale, senza spessore.
Battute per bene le fettine di vitello, le ho tagliate a metà. Mi piacciono le porzioni non troppo grandi, sono eleganti e la cottura è più veloce. Ci vuole un briciolo in più di manualità, ma il risultato è migliore. Ho messo un cucchiaino abbondante di ripieno bello freddo e le ho chiuse a bauletto. Quindi le ho legate con uno spaghino sottile. Belle, sembrano proprio dei piccoli bagagli a mano!
Ho cambiato qualcosa nel procedimento di cottura; le valigette le ho rosolate nel burro da sole, appena dorate ho aggiunto lo scalogno tritatissimo, il pomodoro e il prezzemolo. Ho aromatizzato il burro con un rametto di timo serpillo; secondo me con il pomodoro ci sta a meraviglia. Mi perdoni signora Ida Baccini, non me ne voglia, ma la sua ricetta così è ancora più buona!
Ho tolto le valigette e nella loro salsa ho cotto il riso aggiungendo brodo vegetale e mantecando alla fine con una noce di burro freddo.
In famiglia sono piaciuti assai questi pacchetti panciuti dal contenuto saporito e profumato, ma lo spaghino rende molto complicato il taglio e la consumazione, perciò, prima di riscaldarli nel burro, l’ho sostituito con fili di erba cipollina. Molto meglio, decisamente una soluzione più pratica, anche se in versione originale l’effetto valigetta è più evidente. Infine ho completato con una bella grattata di grujère. Accidenti quanto costa, però, sto formaggio! Possiamo tranquillamente sostituirlo con un buon parmigiano stagionato.
Devo confessarlo, ho usato il nostro prosciutto crudo dolce; cosa volete, l’avevo nel frigo da qualche giorno, non bisogna sprecare, vero? Credo, però, che un salume dal sapore deciso avrebbe reso il ripieno più grintoso. Insomma, facciamo così. Ogni angolo d’Italia ha il suo prosciutto; ognuno di voi usi quello del suo territorio, il risultato sarà sempre ottimo e sempre speciale, unico. In fondo il Bel Paese è famoso per le sue diversità gastronomiche, non limitiamo la fantasia!
Il piatto è decisamente moderno, anche se l’uso del burro adesso fa un po’ strano. Io ho ridotto la quantità al minimo. Pensate di sostituirlo con l’olio? Vedete voi, ma, secondo me, se c’è scritto burro, che burro sia! E, mi raccomando, di ottima qualità, poco, ma buono.
Ah, dimenticavo, sapete una cosa? Il 1903 è stato un anno fantastico. Tra l’altro è nato George Orwell ed Enrico Caruso ha fatto il suo debutto al Metropolitan di New York, ma il fatto più curioso, per me, è questo: in quel lontano anno è stato brevettato il cono gelato. Eh, va bene, che sarà mai, direte voi. Ma perché, vi pare poco? La sua evoluzione industriale, il “cornetto”, ha invaso il mondo. Successo internazionale! E chi l’ha inventato? Elementary, Watson , un italiano emigrato in America, of course!
Roberta Libero